Può un’alimentazione sbagliata compromettere l’esito di una performance sportiva?

Del mondo che lega alimentazione e allenamento se ne occupa da sempre il professore Asker Jeukendrup, uno degli esperti del settore più qualificato a livello internazionale, il quale ha condotto, insieme al suo team di ricercatori, uno studio proprio sulle esperienze negative vissute dagli sportivi, dovute a stress gastrointestinali; situazioni che hanno ovviamente compromesso in negativo i risultati delle gare.

In sintesi, circa il 40% di chi fa sport a livello professionale ha subito almeno una esperienza negativa caratterizzata da diarrea, vomito, crampi e bruciori addominali, reflusso; cioè 1 atleta su 2 ha vissuto una condizione che ha compromesso in modo pesante l’esito della propria performance.

Da qui, l’esigenza di creare un percorso ad hoc, cioè una dieta alimentare sportiva calibrata sul singolo atleta che è funzionale al miglioramento del rendimento finale.

E, in effetti, da qualche anno a questa parte, si parla con maggiore insistenza non di “dieta” ma di “allenamento nutrizionale”, vale a dire: alimentare il corpo in situazioni diverse per renderlo “pronto” ad affrontare qualunque imprevisto.

Ecco perché oggi si ha la consapevolezza di poter svolgere allenamenti sotto condizioni di ogni tipo: ad esempio è possibile allenarsi a digiuno o reggere una giornata di “endurance” (allenamento di lunga durata) avendo consumato una quantità di carboidrati di molto inferiore a quanto era “consigliato” nel passato.

Ma andiamo nel dettaglio.

L’allenamento a digiuno aumenta la cosiddetta “potenza lipidica”, concetto che è stato introdotto per la prima volta dal prof. Enrico Arcelli, fisiologo dello sport.

Viene ridotto l’introito di carboidrati nel pasto pre-allenamento per favorire l’utilizzo dei lipidi durante l’attività sportiva.

Ma attenzione: l’allenamento a digiuno è una strategia che deve essere contestualizzata, seguita da un professionista della nutrizione e inserita solo in alcune sedute.

Per atleti non esperti, e nelle sedute ad alta intensità o con una durata superiore ai 40 minuti, in generale non è consigliato.

Certo, come sottolineo ai miei pazienti, il minutaggio è comunque soggettivo.

Ma che cosa sappiamo oggi sull’integrazione dei carboidrati durante l’attività sportiva?

Che il nostro intestino riesce ad assorbire circa 60 gr l’ora di glucosio (carboidrati).

Da qui la necessità di integrare, in maniera cadenzata, una certa “quota” di carboidrati attraverso prodotti che hanno una consistenza diversa: gelatinosa e liquida.

In che modo?

Una strategia che viene spesso utilizzata è quella di diluire in acqua una soluzione con vai tipi di monosaccaridi o oligosaccaridi (ciclodestrine o maltodestrine) e fruttosio insieme.

Questo aumenterebbe la “biodisponibilità intestinale dei carboidrati” (maggiore dunque dei 60 gr l’ora).

Il mio consiglio da nutrizionista sportivo è quello di allenare l’intestino a tollerare una quantità maggiore di 60 gr di carboidrati, consumandone di più sotto forma di gel o di liquidi, durante la seduta di allenamento.

Infine, nella fase di recupero giornaliero del post allenamento, è fondamentale scegliere la “qualità” dei carboidrati: quelli ad alto indice glicemico che aumentano la secrezione insulinica, e le proteine complete per riparare le fibrocellule muscolari.

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